Demofoonte, Parigi, Hérissant, 1780

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
  Orti pensili corrispondenti a vari appartamenti della reggia di Demofoonte.
 
 DIRCEA e MATUSIO
 
 DIRCEA
 Credimi, o padre; il tuo soverchio affetto
 un mal dubbioso ancora
 rende sicuro. A domandar che solo
 il mio nome non vegga
5l'urna fatale, altra ragion non hai
 che il regio esempio.
 MATUSIO
                                         E ti par poco? Io forse,
 perché suddito nacqui,
 son men padre del re? D'Apollo il cenno
 d'una vergine illustre
10vuol che su l'are sue si sparga il sangue
 ogni anno in questo dì; ma non esclude
 le vergini reali. Ei, che si mostra
 delle leggi divine
 sì rigido custode, agli altri insegni
15con l'esempio costanza. A sé richiami
 le allontanate ad arte
 sue regie figlie. I nomi loro esponga
 anch'egli al caso. All'agitar dell'urna
 provi egli ancor d'un infelice padre
20come palpita il cor, come si trema
 quando al temuto vaso
 la mano accosta il sacerdote, e quando
 in sembianza funesta
 l'estratto nome a pronunciar s'appresta;
25e arrossisca una volta
 ch'abbia a toccar sempre la parte a lui
 di spettator nelle miserie altrui.
 DIRCEA
 Ma sai pur che a' sovrani
 è suddita la legge.
 MATUSIO
30Le umane sì, non le divine.
 DIRCEA
                                                    E queste
 a lor s'aspetta interpretar.
 MATUSIO
                                                  Non quando
 parlan chiaro gli dei.
 DIRCEA
                                         Mai chiari a segno...
 MATUSIO
 Non più, Dircea; son risoluto.
 DIRCEA
                                                        Ah meglio
 pensaci, o genitor. L'ira ne' grandi
35sollecita s'accende,
 tarda s'estingue. È temeraria impresa
 l'irritare uno sdegno
 che ha congiunto il poter. Già il re purtroppo
 bieco ti guarda. Ah che sarà, se aggiunge
40ire novelle all'odio antico?
 MATUSIO
                                                  Invano
 l'odio di lui tu mi rammenti e l'ira;
 la ragion mi difende, il ciel m'inspira.
 
    O più tremar non voglio
 fra tanti affanni e tanti;
45o ancor chi preme il soglio
 ha da tremar con me.
 
    Ambo siam padri amanti;
 ed il paterno affetto
 parla egualmente in petto
50del suddito e del re. (Parte)
 
 SCENA II
 
 DIRCEA e poi TIMANTE
 
 DIRCEA
 Se il mio principe almeno
 quindi lungi non fosse... Oh ciel, che miro!
 Ei viene a me!
 TIMANTE
                              Dolce consorte...
 DIRCEA
                                                              Ah taci!
 Potrebbe udirti alcun. Rammenta, o caro,
55che qui non resta in vita
 suddita sposa a regio figlio unita.
 TIMANTE
 Non temer, mia speranza. Alcun non ode.
 Io ti difendo.
 DIRCEA
                           E quale amico nume
 ti rende a me?
 TIMANTE
                              Del genitore un cenno
60mi richiama dal campo
 né la cagion ne so. Ma tu, mia vita,
 m'ami ancor? Ti ritrovo
 qual ti lasciai? Pensasti a me?
 DIRCEA
                                                         Ma come
 chieder lo puoi? Puoi dubitarne?
 TIMANTE
                                                              Oh dio!
65Non dubito, ben mio; lo so che m'ami;
 ma da quel dolce labbro
 troppo, soffrilo in pace,
 sentirlo replicar troppo mi piace.
 Ed il picciolo Olinto, il caro pegno
70de' nostri casti amori,
 che fa? Cresce in bellezza?
 A qual di noi somiglia?
 DIRCEA
                                             Egli incomincia
 già col tenero piede
 orme incerte a segnar. Tutta ha nel volto
75quella dolce fierezza
 che tanto in te mi piacque. Allor che ride,
 par l'immagine tua. Lui rimirando,
 te rimirar mi sembra. Oh quante volte,
 credula troppo al dolce error del ciglio,
80mi strinsi al petto il genitor nel figlio!
 TIMANTE
 Ah dov'è? Sposa amata,
 guidami a lui; fa' ch'io lo vegga.
 DIRCEA
                                                            Affrena,
 signor, per ora il violento affetto.
 In custodita parte
85egli vive celato; e andarne a lui
 non è sempre sicuro. Oh quanta pena
 costa il nostro segreto!
 TIMANTE
                                           Ormai son stanco
 di finger più, di tremar sempre; io voglio
 cercare oggi una via
90d'uscir di tante angustie.
 DIRCEA
                                                Oggi sovrasta
 altra angustia maggiore. Il giorno è questo
 dell'annuo sagrifizio. Il nome mio
 sarà esposto alla sorte. Il re lo vuole;
 si oppone il padre; e della lor contesa
95temo più che del resto.
 TIMANTE
                                            È noto forse
 al padre tuo che sei mia sposa?
 DIRCEA
                                                           Il cielo
 nol voglia mai. Più non vivrei.
 TIMANTE
                                                         M'ascolta.
 Proporrò che di nuovo
 si consulti l'oracolo. Acquistiamo
100tempo a pensar.
 DIRCEA
                                 Questo è già fatto.
 TIMANTE
                                                                    E come
 rispose?
 DIRCEA
                   Oscuro e breve.
 «Con voi del ciel si placherà lo sdegno,
 quando noto a sé stesso
 fia l'innocente usurpator d'un regno».
 TIMANTE
105Che tenebre son queste!
 DIRCEA
                                               E se dall'urna
 esce il mio nome, io che farò? La morte
 mio spavento non è; Dircea saprebbe
 per la patria morir. Ma Febo chiede
 d'una vergine il sangue. Io moglie e madre
110come accostarmi all'ara? O parli o taccia,
 colpevole mi rendo;
 il ciel se taccio, il re se parlo offendo.
 TIMANTE
 Sposa, ne' gran perigli
 gran coraggio bisogna. Al re conviene
115scoprir l'arcano.
 DIRCEA
                                E la funesta legge
 che a morir mi condanna?
 TIMANTE
                                                   Un re la scrisse,
 può rivocarla un re. Benché severo,
 Demofoonte è padre ed io son figlio.
 Qual forza han questi nomi
120io lo so, tu lo sai. Non torno alfine
 senza merito a lui. La Scitia oppressa,
 il soggiogato Fasi
 son mie conquiste; e qualche cosa il padre
 può fare anche per me. Se ciò non basta,
125saprò dinanzi a lui
 piangere, supplicar, piegarmi al suolo,
 abbracciargli le piante,
 domandargli pietà.
 DIRCEA
                                      Dubito... Oh dio!
 TIMANTE
 Non dubitar, Dircea. Lascia la cura
130a me del tuo destin. Va'. Per tua pace
 ti stia nell'alma impresso
 che a te penso, cor mio, più che a me stesso.
 DIRCEA
 
    In te spero, o sposo amato;
 fido a te la sorte mia;
135e per te, qualunque sia,
 sempre cara a me sarà.
 
    Pur che a me nel morir mio
 il piacer non sia negato
 di vantar che tua son io,
140il morir mi piacerà. (Parte)
 
 SCENA III
 
 TIMANTE e DEMOFOONTE con seguito; indi ADRASTO
 
 TIMANTE
 Sei pur cieca, o Fortuna! Alla mia sposa
 generosa concedi
 beltà, virtù quasi divina e poi
 la fai nascer vassalla. Error sì grande
145correggerò ben io. Meco sul trono
 la Tracia un dì l'adorerà. Ma viene
 il real genitor. Più non s'asconda
 il mio segreto a lui.
 DEMOFOONTE
                                      Principe, figlio.
 TIMANTE
 Padre, signor. (S’inginocchia e gli bacia la mano)
 DEMOFOONTE
                              Sorgi.
 TIMANTE
                                            I reali imperi
150eccomi ad eseguir.
 DEMOFOONTE
                                     So che non piace
 al tuo genio guerriero
 la pacifica reggia; e il cenno mio,
 che ti svelle dall'armi,
 forse t'incresce. I tuoi trionfi, o prence,
155e perché mie conquiste e perché tuoi,
 sempre cari mi son. Ma tu di loro
 mi sei più caro. I tuoi sudori ormai
 di riposo han bisogno. È del riposo
 figlio il valor. Sempre vibrato alfine
160inabile a ferir l'arco si rende.
 Il meritar son le tue parti; e sono
 il premiarti le mie. Se il prence, il figlio
 degnamente le sue compì finora,
 il padre, il re le sue compisca ancora.
 TIMANTE
165(Opportuno è il momento; ardir). Conosco
 tanto il bel cor del mio
 tenero genitor che...
 DEMOFOONTE
                                       No, non puoi
 conoscerlo abbastanza. Io penso, o figlio,
 a te più che non credi.
170Io ti leggo nell'alma e quel che taci
 intendo ancor. Con la tua sposa al fianco
 vorresti ormai che ti vedesse il regno;
 di', non è ver?
 TIMANTE
                             (Certo ei scoperse il nodo
 che mi stringe a Dircea).
 DEMOFOONTE
                                                Parlar non osi;
175e a compiacerti appunto
 il tuo mi persuade
 rispettoso silenzio. Io lo confesso,
 dubitai su la scelta; anzi mi spiacque.
 L'acconsentire al nodo
180mi pareva viltà. Gli odi del padre
 abborria nella figlia. Alfin prevalse
 il desio di vederti
 felice, o prence.
 TIMANTE
                                (Il dubitarne è vano).
 DEMOFOONTE
 A paragon di questo
185è lieve ogni riguardo.
 TIMANTE
                                          Amato padre,
 nuova vita or mi dai. Volo alla sposa
 per condurla al tuo piè.
 DEMOFOONTE
                                             Ferma. Cherinto,
 il tuo minor germano,
 la condurrà.
 TIMANTE
                         Che inaspettata è questa
190felicità!
 DEMOFOONTE
                  V'è per mio cenno al porto
 chi ne attende l'arrivo.
 TIMANTE
                                            Al porto!
 DEMOFOONTE
                                                               E quando
 vegga apparir la sospirata nave,
 avvertiti sarem.
 TIMANTE
                                Qual nave?
 DEMOFOONTE
                                                       Quella
 che la real Creusa
195conduce alle tue nozze.
 TIMANTE
                                            (Oh dei!)
 DEMOFOONTE
                                                                Ti sembra
 strano, lo so. Gli ereditari sdegni
 de' suoi, degli avi nostri un simil nodo
 non facevan sperar; ma in dote alfine
 ella ti porta un regno. Unica prole
200è del cadente re.
 TIMANTE
                                 Signor... Credei...
 (Oh error funesto!)
 DEMOFOONTE
                                      Una consorte altrove,
 che suddita non sia, per te non trovo.
 TIMANTE
 O suddita o sovrana,
 che importa, o padre?
 DEMOFOONTE
                                           Ah no; troppo degli avi
205ne arrossirebbon l'ombre. È lor la legge
 che condanna a morir sposa vassalla
 unita al real germe; e, finch'io viva,
 saronne il più severo
 rigido esecutor.
 TIMANTE
                                Ma questa legge...
 ADRASTO
210Signor, giungono in porto
 le frigie navi.
 DEMOFOONTE
                            Ad incontrar la sposa
 vola, o Timante. (Adrasto si ritira)
 TIMANTE
                                 Io?
 DEMOFOONTE
                                          Sì. Con te verrei
 ma un funesto dover mi chiama al tempio.
 TIMANTE
 Ferma, senti, signor.
 DEMOFOONTE
                                         Parla; che brami?
 TIMANTE
215Confessarti... (Che fo?) Chiederti... (Oh dio,
 che angustia è questa!) Il sacrifizio, o padre...
 la legge... la consorte...
 (Oh legge! Oh sposa! Oh sacrifizio! Oh sorte!)
 DEMOFOONTE
 Prence, ormai non ci resta
220più luogo a pentimento. È stretto il nodo;
 io l'ho promesso. Il conservar la fede
 obbligo necessario è di chi regna;
 e la necessità gran cose insegna.
 
    Per lei fra l'armi dorme il guerriero;
225per lei fra l'onde canta il nocchiero;
 per lei la morte terror non ha.
 
    Fin le più timide belve fugaci
 valor dimostrano, si fanno audaci,
 quand'è il combattere necessità. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 TIMANTE solo
 
 TIMANTE
230Ma che vi fece, o stelle,
 la povera Dircea che tante unite
 sventure contro lei! Voi che inspiraste
 i casti affetti alle nostr'alme, voi
 che al pudico imeneo foste presenti,
235difendetelo, o numi; io mi confondo.
 M'oppresse il colpo a segno
 che il cor mancommi e si smarrì l'ingegno.
 
    Sperai vicino il lido,
 credei calmato il vento
240ma trasportar mi sento
 fra le tempeste ancor.
 
    E, da uno scoglio infido
 mentre salvar mi voglio,
 urto in un altro scoglio
245del primo assai peggior. (Parte)
 
 SCENA V
 
  Porto di mare festivamente adornato per l’arrivo della principessa di Frigia. Vista di molte navi, dalla più magnifica delle quali al suono di vari stromenti barbari, preceduti da numeroso corteggio, sbarcano a terra
 
 CREUSA e CHERINTO
 
 CREUSA
 Ma che t'affanna, o prence?
 Perché mesto così? Pensi, sospiri,
 taci, mi guardi; e, se a parlar t'astringo
 con rimproveri amici,
250molto a dir ti prepari e nulla dici.
 Dove andò quel sereno
 allegro tuo sembiante? Ove i festivi
 detti ingegnosi? In Tracia tu non sei
 qual eri in Frigia. Al talamo le spose
255in sì lugubre aspetto
 s'accompagnan fra voi? Per le mie nozze
 qual augurio è mai questo?
 CHERINTO
 Se nulla di funesto
 presagisce il mio duol, tutto si sfoghi,
260o bella principessa,
 tutto sopra di me. Poco i miei mali
 accresceran le stelle. Io de' viventi
 già sono il più infelice.
 CREUSA
                                            E questo arcano
 non può svelarsi a me? Vaglion sì poco
265il mio soccorso, i miei consigli?
 CHERINTO
                                                           E vuoi
 ch'io parli? Ubbidirò. Dal primo istante...
 Quel giorno... Oh dio! No, non ho cor; perdona;
 meglio è tacer; meriterei parlando
 forse lo sdegno tuo.
 CREUSA
                                      Lo merta assai
270già la tua diffidenza. È ver che alfine
 io son donna; e sarebbe
 mal sicuro il segreto. Andiamo, andiamo.
 Taci pur; n'hai ragion.
 CHERINTO
                                            Fermati. Oh numi!
 Parlerò; non sdegnarti. Io non ho pace;
275tu me la togli; il tuo bel volto adoro;
 so che l'adoro invano;
 e mi sento morir. Questo è l'arcano.
 CREUSA
 Come? Che ardir!
 CHERINTO
                                    Nol dissi
 che sdegnar ti farei?
 CREUSA
                                        Sperai, Cherinto,
280più rispetto da te.
 CHERINTO
                                    Colpa d'amore...
 CREUSA
 Taci, taci; non più. (Volendo partire)
 CHERINTO
                                      Ma già che a forza
 tu volesti, o Creusa,
 il delitto ascoltar, senti la scusa.
 CREUSA
 Che dir potrai?
 CHERINTO
                               Che di pietà son degno,
285se ardo per te, che se l'amarti è colpa,
 Demofoonte è il reo. Doveva il padre
 per condurti a Timante
 altri sceglier che me. Se l'esca avvampa,
 stupir non dee chi l'avvicina al fuoco.
290Tu bella sei; cieco io non son. Ti vidi,
 t'ammirai, mi piacesti. A te vicino
 ogni dì mi trovai. Comodo e scusa
 il nome di congiunto
 mi diè per vagheggiarti; e me quel nome
295non che gli altri ingannò. L'amor, che sempre
 sospirar mi facea d'esserti accanto,
 mi pareva dovere; e mille volte
 a te spiegar credei
 gli affetti del german, spiegando i miei.
 CREUSA
300(Ah me n'avvidi). Un tale ardir mi giunge
 nuovo così che istupidisco.
 CHERINTO
                                                   E pure
 talor mi lusingai che l'alme nostre
 s'intendesser fra loro
 senza parlar. Certi sospiri intesi;
305un non so che di languido osservai
 spesso negli occhi tuoi che mi parea
 molto più che amicizia.
 CREUSA
                                             Or su, Cherinto,
 della mia tolleranza
 cominci ad abusar. Mai più d'amore
310guarda di non parlarmi.
 CHERINTO
                                               Io non comprendo...
 CREUSA
 Mi spiegherò. Se in avvenir più saggio
 non sei di quel che fosti infino ad ora,
 non comparirmi innanzi. Intendi ancora?
 CHERINTO
 
    T'intendo, ingrata,
315vuoi ch'io mi uccida.
 Sarai contenta,
 m'ucciderò.
 
    Ma ti rammenta
 che a un'alma fida
320l'averti amata
 troppo costò. (Vuol partire)
 
 CREUSA
 Dove? Ferma.
 CHERINTO
                             No no; troppo t'offende
 la mia presenza. (In atto di partire)
 CREUSA
                                  Odi, Cherinto.
 CHERINTO
                                                               Eh troppo
 abuserei restando
325della tua tolleranza. (Come sopra)
 CREUSA
                                       E chi finora
 t'impose di partir?
 CHERINTO
                                      Comprendo assai
 anche quel che non dici.
 CREUSA
                                               Ah prence, ah quanto
 mal mi conosci! Io da quel punto... (Oh numi!)
 CHERINTO
 Termina i detti tuoi.
 CREUSA
330Da quel punto... (Ah che fo!) Parti, se vuoi.
 CHERINTO
 Barbara, partirò; ma forse... Oh stelle!
 Ecco il german.
 
 SCENA VI
 
 TIMANTE frettoloso e detti
 
 TIMANTE
                               Dimmi, Cherinto; è questa
 la frigia principessa?
 CHERINTO
                                         Appunto.
 TIMANTE
                                                             Io deggio
 seco parlar. Per un momento solo
335da noi ti scosta.
 CHERINTO
                               Ubbidirò. (Che pena!)
 CREUSA
 Sposo, signor.
 TIMANTE
                             Donna real, noi siamo
 in gran periglio entrambi. Il tuo decoro,
 la vita mia tu sola
 puoi difender, se vuoi.
 CREUSA
                                            Che avvenne?
 TIMANTE
                                                                        I nostri
340genitori fra noi strinsero un nodo
 che forse a te dispiace,
 ch'io non richiesi. I pregi tuoi reali
 sarian degni d'un nume
 non che di me; ma il mio destin non vuole
345ch'io possa esserti sposo. Un vi si oppone
 invincibil riparo. Il padre mio
 nol sa né posso dirlo. A te conviene
 prevenire un rifiuto. In vece mia,
 va', rifiutami tu. Di' ch'io ti spiaccio;
350aggrava, io tel perdono,
 i demeriti miei; sprezzami e salva
 per questa via, che il mio dover t'addita,
 l'onor tuo, la mia pace e la mia vita.
 CREUSA
 Come!
 TIMANTE
                Teco io non posso
355trattenermi di più. Prence, alla reggia
 sia tua cura il condurla. (A Cherinto partendo)
 CREUSA
                                              Ah dimmi almeno...
 TIMANTE
 Dissi tutto il cor mio
 né più dirti saprei; pensaci. Addio. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 CREUSA e CHERINTO
 
 CREUSA
 Numi, a Creusa, alla reale erede
360dello scettro di Frigia un tale oltraggio!
 Cherinto, hai cor?
 CHERINTO
                                    L'avrei,
 se tu non mel toglievi.
 CREUSA
                                           Ah l'onor mio
 vendica tu, se m'ami. Il cor, la mano,
 il talamo, lo scettro,
365quanto possiedo è tuo; limite alcuno
 non pongo al premio.
 CHERINTO
                                          E che vorresti?
 CREUSA
                                                                        Il sangue
 dell'audace Timante.
 CHERINTO
 Del mio german!
 CREUSA
                                  Che! Impallidisci? Ah vile!
 Va'; troverò chi voglia
370meritar l'amor mio.
 CHERINTO
                                       Ma principessa...
 CREUSA
 Non più; lo so, siete d'accordo entrambi,
 scellerati, a tradirmi.
 CHERINTO
                                         Io! Come! E credi
 così dunque il mio amor poco sincero?
 CREUSA
 Del tuo amor mi vergogno o falso o vero.
 
375   Non curo l'affetto
 d'un timido amante
 che serba nel petto
 sì poco valor,
 
    che trema se deve
380far uso del brando,
 ch'è audace sol quando
 si parla d'amor. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 CHERINTO solo
 
 CHERINTO
 Oh dei! Perché tanto furor? Che mai
 le avrà detto il german? Voler ch'io stesso
385nelle fraterne vene... Ah che in pensarlo
 gelo d'orror! Ma con qual fasto il disse,
 con qual fierezza! E pur quel fasto e quella
 sua fierezza m'alletta; in essa io trovo
 un non so che di grande
390che in mezzo al suo furore
 stupir mi fa, mi fa languir d'amore.
 
    Il suo leggiadro viso
 non perde mai beltà;
 bello nella pietà,
395bello è nell'ira.
 
    Quand'apre i labbri al riso
 parmi la dea del mar
 e Pallade mi par
 quando s'adira. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 MATUSIO esce furioso con DIRCEA per mano
 
 DIRCEA
400Dove, dove, o signor?
 MATUSIO
                                          Nel più deserto
 sen della Libia, alle foreste ircane,
 fra le scitiche rupi o in qualche ignota,
 se alcuna il mar ne serra,
 separata dal mondo ultima terra.
 DIRCEA
405(Aimè!)
 MATUSIO
                   Sudate, o padri,
 nella cura de' figli. Ecco il rispetto
 che il dritto di natura,
 che prometter si può la vostra cura.
 DIRCEA
 (Ah scoprì l'imeneo! Son morta). Oh dio!
410Signor, pietà.
 MATUSIO
                            Non v'è pietà né fede;
 tutto è perduto.
 DIRCEA
                                Ecco al tuo piè...
 MATUSIO
                                                                Che fai?
 DIRCEA
 Io voglio pianger tanto...
 MATUSIO
 Il tuo caso domanda altro che pianto.
 DIRCEA
 Sappi...
 MATUSIO
                  Attendimi. Un legno
415volo a cercar che ne trasporti altrove. (Parte)
 
 SCENA X
 
 DIRCEA, poi TIMANTE
 
 DIRCEA
 Dove, misera, ah dove
 vuol condurmi a morir? Figlio innocente,
 adorato consorte, oh dei, che pena
 partir senza vedervi!
 TIMANTE
                                         Alfin ti trovo,
420Dircea, mia vita.
 DIRCEA
                                  Ah caro sposo, addio,
 e addio per sempre. Al tuo paterno amore
 raccomando il mio figlio;
 abbraccialo per me; bacialo e tutta
 narragli, quando sia
425capace di pietà, la sorte mia.
 TIMANTE
 Sposa, che dici? Ah nelle vene il sangue
 gelar mi fai!
 DIRCEA
                          Certo scoperse il padre
 il nostro arcano. Ebbro è di sdegno; e vuole
 quindi lungi condurmi. Io lo conosco,
430per me non v'è più speme.
 TIMANTE
                                                   Eh rassicura
 lo smarrito tuo cor, sposa diletta;
 al mio fianco tu sei.
 
 SCENA XI
 
 MATUSIO torna frettoloso e detti
 
 MATUSIO
                                       Dircea, t'affretta.
 TIMANTE
 Dircea non partirà.
 MATUSIO
                                      Chi l'impedisce?
 TIMANTE
 Io.
 MATUSIO
         Come!
 DIRCEA
                        Aimè!
 MATUSIO
                                      Difenderò col ferro
435la paterna ragion. (Snuda la spada)
 TIMANTE
                                    Col ferro anch'io
 la mia difenderò. (Fa lo stesso)
 DIRCEA
                                    Prence, che fai?
 Fermati, o genitore. (Si frappone)
 MATUSIO
                                        Empio! Impedirmi
 che al crudel sacrifizio una innocente
 vergine io tolga?
 DIRCEA
                                 (Oh dei!)
 TIMANTE
                                                     Ma dunque...
 DIRCEA
                                                                                (Ah taci.
440Nulla sa; m'ingannai). (Piano a Timante, fingendo trattenerlo)
 MATUSIO
                                             Volerla oppressa?
 DIRCEA
 (Io quasi per timor tradii me stessa).
 TIMANTE
 Signor, perdona; ecco l'error. Ti vidi
 verso lei, che piangea, correr sdegnato;
 tempo a pensar non ebbi; opra pietosa
445il salvarla credei dal tuo furore.
 MATUSIO
 Dunque la nostra fuga
 non impedir. La vittima, se resta,
 oggi sarà Dircea.
 DIRCEA
                                  Stelle!
 TIMANTE
                                                Dall'urna
 forse il suo nome uscì?
 MATUSIO
                                            No; ma l'ingiusto
450tuo padre vuol quell'innocente uccisa
 senza il voto del caso.
 TIMANTE
                                         E perché tanto
 sdegno con lei?
 MATUSIO
                               Per punir me che volli
 impedir che alla sorte
 fosse esposta Dircea, perché produssi
455l'esempio suo, perché l'amor paterno
 mi fe' scordar d'esser vassallo.
 DIRCEA
                                                         (Oh dio!
 Ogni cosa congiura a danno mio).
 TIMANTE
 Matusio, non temer; barbaro tanto
 il re non è. Negl'impeti improvvisi
460tutti abbaglia il furor; ma la ragione
 poi ne emenda i trascorsi.
 
 SCENA XII
 
 ADRASTO con guardie e detti
 
 ADRASTO
                                                  Olà, ministri,
 custodite Dircea. (Le guardie la circondano)
 MATUSIO
                                   Nol dissi, o prence?
 TIMANTE
 Come?
 DIRCEA
                 Misera me!
 TIMANTE
                                         Per qual cagione
 è Dircea prigioniera?
 ADRASTO
                                          Il re l'impone.
465Vieni. (A Dircea)
 DIRCEA
                Ah dove?
 ADRASTO
                                    Fra poco,
 sventurata, il saprai.
 DIRCEA
                                        Principe, padre,
 soccorretemi voi;
 movetevi a pietà.
 TIMANTE
                                   No, non fia vero... (In atto d’assalire)
 MATUSIO
 Non soffrirò...
 ADRASTO
                             Se v'appressate, in seno
470questo ferro le immergo. (Impugnando uno stile)
 TIMANTE
                                                 Empio!
 MATUSIO
                                                                  Inumano! (Si fermano)
 ADRASTO
 Il comando sovrano
 mi giustifica assai.
 DIRCEA
                                     Dunque...
 ADRASTO
                                                          T'affretta;
 sono vane, o Dircea, le tue querele.
 DIRCEA
 Vengo. (Incamminandosi)
 TIMANTE e MATUSIO
                 Ah barbaro! (In atto d’assalire)
 ADRASTO
                                          Olà. (In atto di ferire)
 TIMANTE e MATUSIO
                                                     Ferma, crudele. (Arrestandosi)
 DIRCEA
 
475   Padre, perdona... Oh pene!
 Prence, rammenta... Oh dio!
 (Già che morir degg'io,
 potessi almen parlar!)
 
    Misera, in che peccai?
480Come son giunta mai
 de' numi a questo segno
 lo sdegno a meritar? (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 TIMANTE e MATUSIO
 
 TIMANTE
 Consigliatemi, o dei.
 MATUSIO
                                         Né s'apre il suolo!
 Né un fulmine punisce
485tanta empietà, tanta ingiustizia! E poi
 mi si dirà che Giove
 abbia cura di noi.
 TIMANTE
                                   Facciamo, amico,
 miglior uso del tempo. Appresso a lei
 tu vanne e vedi ov'è condotta. Il padre
490io volo intanto a raddolcir.
 MATUSIO
                                                  Non spero...
 TIMANTE
 Oh dio! Va'. Troverassi
 altra via di salvarla, ove non ceda
 del genitor lo sdegno.
 MATUSIO
 Oh di padre miglior figlio ben degno! (L’abbraccia e parte)
 TIMANTE
 
495   Se ardire e speranza
 dal ciel non mi viene,
 mi manca costanza
 per tanto dolor.
 
    La dolce compagna
500vedersi rapire,
 udir che si lagna
 condotta a morire
 son smanie, son pene
 che opprimono un cor. (Parte)
 
 Fine dell’atto primo